giovedì 29 settembre 2011

Barbera e CdA

Oggi il Finacial Times dedica un articolo alla tragicommedia della Banca Popolare di Milano. Riassumiamo per i più distratti: BPM è una banca che ha manager birbaccioni e che sta andando male. Deve recuperare soldi sul mercato e per farlo deve far entrare qualcuno di nuovo sul ponte di comando. Ma, e qui casca l'asino, BPM è una banca dominata dai sindacati dei soci-dipendenti che non hanno nessuna voglia di condividere il timone.

Fin qua FT dice bene. Fa un solo piccolo errore: "BMP è un caso unico a causa di una governance che dà ad ogni azionista un voto soltanto, indipendentemente dal numero di azioni che possiede". Magari caro, FT, magari fosse un caso unico. Di questi strani dinosauri l'Italia è piena.


Immaginatevi questa scena. Pulman e pulman che scaricano migliaia di persone davanti al capannone di una fiera o nello spiazzo di cemento davanti a un palazzeto dello sport in una ricca città del nord. Dappertutto banchetti che servono Valpolicella (o Barbera, dipende dalla regione) e salame dentro piatti e bicchieri di plastica . Gran magna magna per tutta la mattina, atmosfera da sagra, gente che si vede una volta l'anno che si saluta dandosi pacche sulle spalle. Poi, in genere verso mezzogiorno, dei tizi in abito blu salgono su un palco e cominciano a parlare alla folla. Dopo un lasso di tempo variabile, ma che difficilmente scende sotto le cinque o sei ora, arriva il momento di votare.

Se state pensando di essere davanti al congresso di un partito un po' rustico siete nettamente fuoristrada. Questa scena è l'assemblea generale dei soci di una delle tantissime banche popolari italiane, un'assemblea dove i soci votano i manager che guideranno la loro (nel senso di "di loro proprietà") banca.

La banca è loro perchè nella popolare il socio è proprietario votante e anche cliente. La banca popolare, come dice il nome, nasce dall'idea di creare banche "della gente". E questo lo si ottiene tramite lo strumento del voto capitario (anche grazie ad altri strumenti, in realtà). Nelle banche popolari non solo c'è un limite alla quota di azioni che un soggetto può detenere, ma in assemblea ogni socio vota per uno, indipendentemente da quante azioni possieda. Ecco perchè alle assemblee arrivano anche 13.000 persone, come all'ultima mostruosa assemblea del Banco Popolare.

Di popolari in Italia ce ne sono trentasette. La maggior parte sono piccole banche locali, quasi di paese. I soci sono le stesse persone che nella banca hanno messo i loro risparmi e votando i manager possono esercitare un controllo su cosa verrà fatto coi loro soldi. Visto che ci abitano si suppone che i soci conoscano bene il territorio e le sue esigenze e quindi indirizzeranno la spesa verso le attività secondo loro più utili.

Il problema è che in Italia le popolari non sono mica tutte piccole e carine. Dagli anni novanta agli anni della crisi  c'è stata una girandola di acquisizioni. Un pugno di popolari ne sono uscite molto più grandi di come ne erano entrate, e alcune si sono quotate in borsa. Basta dare un'occhiata all'elenco delle dieci più grandi banche italiane: quasi la metà sono popolari. UBI Banca è stabile al quarto posto, il Banco Popolare si aggira intorno al sesto e nella Top Ten ci sono quasi sempre le popolari di Sondrio, dell'Emilia Romagna e di Milano.

Che questo sia un problema lo dice chiaramente un documento della Banca d'Italia. Le banche popolari (in particolare le più grandi e le quotate) vanno peggio, in media, delle altre banche non popolari. I vantaggi che danno (minori rischi, più attenzioni ai soci e al territorio) diminuiscono mano mano che aumentano le dimensioni.

Nelle grosse popolari i manager diventano praticamente inamovibili (una bel paper in proposito). Si autoperpetuano semplicemente trasportando migliaia di soci ad assemblee-sagre in cui, dopo averli imbottiti di tartine e Recioto, fanno riconfermare in massa tutto il CdA.

A fine 2010, dice sempre la relazione di Bankitalia, il 20% di tutto l'attivo bancario (cioè un quinto di tutti i depositi, di tutta la liquidità, di tutti i crediti e di tutti i titoli posseduti dal sistema bancario) era nelle mani delle Popolari.

Quindi no, caro FT, la Banca Popolare di Milano non è un caso unico. Purtroppo.

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